AUTUNNO 2015 – L’ELEGANZA DEL GIRADISCHI

Chi mi conosce mi potrà capire se utilizzo qualche byte di questo sito per rendere omaggio ad un vecchio amico, il giradischi, antico strumento di riproduzione sonora dotato di un’eleganza demodé che induce rispetto e sommessa ammirazione. Un po’ come quel tale che un pomeriggio di qualche mese fa è sceso in spiaggia col completo kaki e il panama sulla testa in mezzo ad un’orda di cellulite, tatuaggi stinti, pancette tragiche, piercing atroci e infradito con smalto spelacchiato in bella vista.
Stavo quasi per ringraziare quel signore sulla settantina per aver portato una brezza di buon gusto a rinfrescare il ristagno kitsch del lido savonese agostano di cui anch’io, anche se più nolente che volente, facevo parte.
Poi ho evitato di uscire allo scoperto perché non avevo molto di cui andare orgoglioso. Ci sarà anche di peggio in giro ma, credetemi, quel signore elegante mi ha fatto sentire davvero a disagio ed in tal caso la cosa migliore è rendersi invisibili.

Eccomi là…in mezzo alle vecchione tatuate e piercingate: un cinquantenne ingrigito con le cuffiette alle orecchie e l’ultimo numero di Classic Rock tra le mani, tramortito su una sorta di lettiga con su scritto il nome dello stabilimento balneare. Che vergogna. Such a shame!

Ma sto divagando e ho perso il filo.
Il giradischi si diceva.
Elegantissimo con la sua tecnologia vintage a base di meccanica di precisione, di discese idraulicamente rallentate e di pesi e contrappesi, scale graduate, tastini docili e lucine tenui che tenuamente lambiscono il bordo del piatto scuro su cui poggiare le proprie tonde meraviglie del cuore.
Antiskating, Wow and Flutter, Stroboscopio, Stilo, Pick-Up, Testina Moving Coil, Trazione a cinghia….un glossario esotico e misterioso, caduto nel dimenticatoio.

Il giradischi, con l’umiltà dei grandi e con timoroso ossequio assecondava i palati musicali più disparati accontentando, con lo stesso stoico impegno, amanti di Mozart e fanatici del punk, travoltini col mito dello Studio 54 e compassati (e pure un po’ lugubri) filologi del free jazz.
Mi si potrà obiettare che anche il lettore CD e, ohibò, l’MP3 ascoltato sull’iPhone adempiono egregiamente allo stesso servizio e su questo non discuto, ma è una questione di estetica. Perbacco.

Ai riproduttori moderni di supporti moderni, oltre all’aspetto di cui dicevo poco sopra, mancano quei movimenti indolenti e un po’ blasé con cui il giradischi portava a termine il suo compito e che hanno accompagnato praticamente tutta la mia vita. Incantandomi, ebbene sì.
Avevo tre anni quando mi dilettavo sul pavimento della cucina con una fonovaligia Lesa (che quasi mi folgorò se ben ricordo perché negli anni ’60 la presa di terra era poco o nulla usata) per passare poi adolescente al prestigioso Garrard de mon pere che in 10 anni la cosa più moderna che ci era girata sopra era stata Tchaikovsky, con l’eccezione di qualche raccolta di Fausto Pappetti.
Bene, nel 1977 con la stessa grazia con cui elargiva a mio padre Bach e Mozart in forti dosi, il fido Garrard mi iniziò ai piaceri di Beatles e Rolling Stones, già retrò pure loro a ben vedere.

Poi, nel 1982 a 17 anni, arrivò uno sbarazzino Technics SL-D212 che utilizzo ancora oggi e che non ho la minima intenzione di abbandonare dopo 33 anni di onorato e compassato servizio.

E se un giorno diventerò sordo (ipotesi non remotissima), mi limiterò a guardare il piatto che gira, magari con su una bella mela verde rotante. Non sentirò uscire dalle casse un bel niente, ma potrò pur sempre godermi lo stile con cui il Pick-Up si avvicina languidamente alla mitica Apple con quel suo inimitabile procedere attento e assorto come un anziano calzolaio intento al lavoro nel buio silente della sua bottega.

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