NOVEMBRE 2009: Non son degno di Tex.

Ogni tanto lo metto a mezzo e pensare che non è neppure il mio charater preferito.
Sta di fatto che il suo successo editoriale non conosce crisi da sessantuno (61) anni.
Sergio Bonelli, che del Ranger texano è il fratellastro essendo questi una creatura di suo padre, spesso nelle interviste afferma di non sapere bene la ragione profonda di una pioggia di consensi e di letture appassionate plurigenerazionale.
Eppure non è difficile capirne i motivi, ragion per cui credo che Bonelli figlio (aka Guido Nolitta) gigioneggi sornione glissando sull’argomento.

Andiamo per esclusione.
Le storie sono originali?
No, al 90% si tratta del solito spaghetti western anche se con una certa frequenza spuntano elementi ad esso normalmente estranei come l’esoterismo (Mefiisto certo, ma anche le vicende che vedono El Morisco prezioso collaboratore dei quattro pards) oppure le vicende urbane, non di rado condite in salsa chinatown, ma anch’esse trappola di una certa (adorabile?) ripetitività.
Le storie sono geniali?
Non direi.
E’ sempre un prodotto di buon artigianato, ma quasi mai di un guizzo artistico.
Le storie sono spesso (non sempre) appassionanti, ma raramente inducono alla commozione, raramente vanno a toccare certe profonde corde dell’animo, come accade leggendo Dylan Dog o, rimanendo nel campo dei Bonelli classici, con molte vicende di Zagor.

A questo punto concludiamo che in fondo la ragione del successo di Tex non sono le storie o i topoi narrativi.

Fosse per questo, Tex sarebbe stato abbattuto nella seconda metà degli anni ’70 da Ken Parker, quello si con le storie che lasciano attoniti, quello si che va a fondo, che fa commuovere, quello sì oggetto d’arte.

E allora?
Perché Ken Parker ha chiuso dopo poco più di 60 numeri e 6 anni di vita e Tex è la testata ammiraglia della Bonelli da 6 decenni?
Perché, come dice Berardi, si voleva mantere un livello eccelso delle storie?
Non ci ho mai creduto. La Bonelli è un’azienda e come tale cerca il profitto; se Ken Parker avesse venduto, in un modo o nell’altro sarebbe andato avanti.

Tex ha successo perché è Tex.

Non per le storie, non per le situazioni o le sceneggiature. Ma per il suo essere.

Tex non è un ubriacone come Mister No, Tex non è politicamente corretto come Ken Parker, Tex non ha una sessualità quantomeno curiosa come Zagor che vive da 50 anni con un messicano in una capanna in mezzo a una solitaria foresta.
Tex ha successo per lo stesso motivo che ha determinato la chiusura di Mister No un paio di anni fa.

Ogni giorno abbiamo a che fare con orde di leccaculi, con ruffiani di ogni risma, con i sorrisi di circostanza, con i “ma anche no” veltroniani, con i Luxuria, con i Berlusconi, con i mille compromessi puzzolenti e truffaldini, con genìe di esseri che si prodigano nell’arte della confutazione con il loro odore a metà tra la sacrestia e le scartoffie di stato…ebbene in mezzo a questa fogna Tex è quello che vorremmo essere ed è quello che vorremmo fossero i nostri amici e i nostri avversari.

Tex è chiaro, è diretto, è alla ricerca della verità, la snida, la stana, la svela e la racconta a tutti.

Tex è un uomo, Tex col volto vitreo e disperato giura vendetta sulla tomba della moglie indiana, Tex stana gli assassini della moglie (e di altri poveri Navajo, vecchi e bambini) e gli uccide tutti e poi torna sulla tomba e sente risuonare nel vento la voce di lei.
Tex è amico leale, fermo e virile, Tex dopo aver raccontato al figlio la storia di sua madre, quando questi gli chiede “Pà perchè non dormi?”, lui si gira dall’altra parte e risponde “finisco la sigaretta”.
Si, la sigaretta.
Con buona pace di chi fece, qualche anno fa, una raccolta di firme consegnata a Bonelli, per farlo smettere col tabacco e con il wiskey.

Tex vive senza prudenze e senza compromessi fregandosene degli avvocaticchi che difendono i peggiori e che, ahimè, nel mondo reale fanno avere loro la meglio.
Ma in quello di Tex no.
Nel mondo di Tex gli avvocaticchi sudano freddo, si dileguano pavidi portando via i loro codici mentre gli odiosi aguzzini, gli assassini, i padreterno volano dalle finestre.

Ho capito il successo di Tex quando per l’ennesima volta in televisione ho visto un padre al quale avevano appena ucciso il figlio dichiarare la trita formuletta: “non voglio vendetta, chiedo solo giustizia”.
Allora ho capito in che abisso di ipocrisia e di malessere profondissimo ci troviamo, allora ho capito perché Tex.

No, la vendetta è un diritto di chi si trova un figlio morto ammazzato.
Un figlio, una moglie vanno vendicati.
Qui l’odio è un sentimento nobile e non, come ci vorrebbero far credere, un ritorno allo stato primitivo.

E vi dico che sono io per primo un coglione anestetizzato da un sistema che esprime violenza e che della violenza si serve e ne detiene il monopolio.

Sono io, il primo a non esser degno di Tex.
Votre Marietto

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